Con il Recovery Fund l'occasione per avvicinare Nord e Sud. Ci riusicirà Draghi e cosa ne pensano i governatori interessati?

di redazione 25/03/2021 ECONOMIA E WELFARE
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Un capitolo del Piano di ripresa e resilienza italiano dedicato interamente al Sud, e ai gap di cui soffre il Mezzogiorno su infrastrutture, tecnologie, reti, educazione, partecipazione al lavoro. E ben il 50% dei fondi destinati alle infrastrutture destinati proprio al Sud d’Italia. A poche settimane dalla presentazione del nuovo piano italiano per agganciare il treno del recovery fund emergono nuovi dettagli su alcuni dei cambiamenti cui lavora l’esecutivo rispetto al piano del Conte-2. E ruotano attorno al Mezzogiorno, in una inversione di ruoli che vede l’Europa intervenire per le regioni più deboli d’Italia nel segno della solidarietà e stabilità economica, dopo una stagione durata decenni in cui buona parte dell’Italia rincorreva il federalismo nel segno del "basta assistenzialismo" al Sud.

I dettagli, mentre gran parte del lavoro fra il presidente del Consiglio Mario Draghi, il ministro dell’Economia Daniele Franco e gli altri ministri coinvolti nella parziale riscrittura del 'recovery' procedono nel riserbo, emergono nel finale della due giorni del convegno "Sud-Progetti per ripartire" organizzato dal ministero per il Sud e la Coesione Territoriale. E' proprio la ministra Mara Carfagna a rivelare che «sulle infrastrutture il Sud intercetterà circa il 50% degli investimenti».

E che se prima non c'era un capitolo dedicato al Sud e il tema era "trasversale", ora si è «ritenuto utile, opportuno, necessario rendere evidente il peso del Sud e grazie a una interlocuzione con tutti i ministeri stiamo facendo emergere all’interno di ogni missione interventi destinati al Sud e quote di finanziamenti per costruire un vero e proprio capitolo Sud, e i risultati che stanno emergendo sono incoraggianti».

La spesa pubblica per investimenti nel Mezzogiorno si è "più che dimezzata" nel corso negli ultimi 10 anni, ma i fondi di Next Generation Ue, se spesi bene, possono contribuire a fermare il divario sempre più ampio tra il nord e il sud del Paese. Lo dice il presidente del Consiglio, Mario Draghi, intervenendo al convegno "Sud - Progetti per ripartire", organizzato dalla ministra per il Sud e la Coesione territoriale, Mara Carfagna.

Secondo il premier, l'occasione per colmare le differenze è data dall'arrivo dei fondi del Recovery Fund: il programma Next Generation EU "prevede per l'Italia 191,5 miliardi da spendere entro il 2026 - ricorda Draghi - rafforzare la coesione territoriale in Europa e favorire la transizione digitale ed ecologica sono alcuni tra i suoi obiettivi. Ciò significa far ripartire il processo di convergenza tra Mezzogiorno e centro-Nord che è fermo da decenni.

Anzi, dagli inizi degli anni '70 a oggi è grandemente peggiorato. Il prodotto per persona nel Sud è passato dal 65% del Centro Nord al 55%", continua il premier. "Negli ultimi anni, c'è stato un forte calo negli investimenti pubblici, che ha colpito il Sud ovviamente insieme al resto del Paese. Tra il 2008 e il 2018, la spesa pubblica per investimenti nel Mezzogiorno si è infatti più che dimezzata ed è passata da 21 a poco più di 10 miliardi".

Ma "per la prima volta da tempo, abbiamo l'occasione di aumentare la spesa in infrastrutture fisiche e digitali, nelle fonti di energia sostenibili. Le risorse di Next Generation EU si aggiungono ad ulteriori programmi europei e ai fondi per la coesione, che mettono a disposizione altri 96 miliardi per il Sud nei prossimi anni", continua il premier.

Tuttavia, continua Draghi "tante risorse non portano necessariamente alla ripartenza del Mezzogiorno". "Ci sono due problemi: uno nell'utilizzo dei fondi europei, l'altro nella capacità di completamento delle opere pubbliche. A fronte di 47,3 miliardi di euro programmati nel Fondo per lo Sviluppo e la Coesione dal 2014 al 2020, alla fine dello scorso anno erano stati spesi poco più di 3 miliardi - il 6,7%. Nel 2017, in Italia erano state avviate ma non completate 647 opere pubbliche. In oltre due terzi dei casi, non si era nemmeno arrivati alla metà. Il 70% di queste opere non completate era localizzato al Sud, per un valore di 2 miliardi", dice il premier.

Ed è per questo che "divenire capaci di spendere questi fondi, e di farlo bene, è obiettivo primario di questo governo: vogliamo fermare l'allargamento del divario e dirigere questi fondi in particolare verso le donne e i giovani".

Serve inoltre recuperare "fiducia nella legalità e nelle istituzioni, siano esse la scuola, la sanità o la giustizia. In questa sfida un ruolo cruciale è anche vostro, classi dirigenti. Ma un vero rilancio richiede la partecipazione attiva di tutti i cittadini", conclude Draghi.

 

COSA NE PENSANO I GOVERNATORI DEL SUD

Tra gli interventi della prima giornata di lavori, quelli dei governatori, Per Vincenzo De Luca, presidente della Campania, “decidere quello che deve essere il Mezzogiorno significa decidere cosa deve essere l’Italia nel futuro. Siamo passati dal 4-4,5% del mercato mondiale a meno dell’1,8, siamo stai scavalcati come pil da tanti altri Paesi e il Sud non ha ancora recuperato i posti di lavoro perduti nella crisi del 2009-2010. E il divario demografico rischia di tramutarsi in un problema di desertificazione del Sud. Per me quindi è indispensabile avere almeno il 50% delle risorse”.

“Credo che sia bene fare una operazione verità sul Sud, rimuovendo tante sciocchezze – ha continuato De Luca – Nel Sud i fondi aggiuntivi in realtà sono diventati fondi sostituitivi della spesa ordinaria. E quando si parla di Sud si continua a parlare di spesa storica, quindi chi ha più avuto in passato continua ad avere più risorse, e chi ha avuto meno continua ad avere di meno”.

Come poi sostiene da tempo, per De Luca “è indispensabile avere almeno il 50% di risorse nel Mezzogiorno. Credo – ha aggiunto  – che sia un’occasione per intervenire colmando i tre divari dell’Italia, tutti collocati al Sud: territoriali, quindi infrastrutturali, sociali, perchè legati alla disoccupazione giovanile, e di genere. Tuteliamo l’efficienza del Paese, ma non prendiamoci in giro. A volte mi viene il dubbio che l’unica cosa pronta siano grandi progetti di grandi lobby da fare in altre parti d’Italia – ha aggiunto – Il Sud dovrebbe ottenere il 34% della spesa ordinaria, ma gli investimenti sono in caduta libera. Così, il Sud è condannato alla desertificazione”.

Per De Luca i fondi che arriveranno alla regione che governa dovranno essere usate per i grandi interventi strutturali “puntando poi sulle eccellenze territoriali come l’aerospazio, l’automotive e la ricerca sulle energie rinnovabili, ma anche su grandi piattaforme logistiche e il potenziamento delle reti portuali”. Infine un passaggio sulla sburocratizzazione: “O cogliamo questa occasione per intervenire con la spada sui processi di sburocratizzazione o non illudiamoci: non investiremo niente e avremo perso una grande occasione. Chiedo al ministro di proporre la cancellazione del Cipe. Si tratta di un ente tra più inutili, anzi dannosi, d’Italia, che ha come unica funzione quella di far perdere mesi preziosi”.

“È impossibile raggiungere gli obiettivi del 2026 con le regole attuali. Il codice degli appalti è stato rivisto di recente ma serve una normativa che consenta di dare più peso alla graduatoria di chi deve fare un’opera pubblica rispetto all’interesse pubblico alla realizzazione dell’opera”. Così il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano.

“Il Recovery fund allora non deve servire solo a un immediato recupero di competitività delle imprese del Nord. Provate a spiegare ai ‘ghe pensi mi’ – continua Emiliano riferendosi alle Regioni del Nord – che pensano che l’unico sistema per far camminare l’Italia è investire sempre sul Nord che invece anche gli investimenti al Sud refluiscono in gran parte sul sistema economico del Nord riequilibrando lo sviluppo, la civiltà e la giustizia. Elementi fondamentali per un investitore estero”. 

Dal canto suo il governatore della Sardegna Solinas ha detto che in questo periodo ha prevalso un neocentralismo che ha affossato specialità e autonomie: “Se esistono anche nel Meridione delle Regioni che hanno avuto riconosciuta una condizione di specialità è perché evidentemente in quelle realtà non si possono utilizzare le stesse formule che si utilizzano nel territorio nazionale. Invece tutta l’attività della burocrazia governativa e della Corte costituzionale degli ultimi anni è orientata a omologare sia le disposizioni normative sia le procedure al resto delle normative nazionali, con un’attività di impugnazione delle norme autonomistiche spaventosa”.

Anche Salinas ritiene “fondamentale che ci sia una normativa semplificata e speciale. Perché se noi pensiamo con gli strumenti assolutamente poco acuminati e arrugginiti che conosce il quadro normativo nazionale di andare a fare tagli di precisione chirurgica nel tessuto molle della burocrazia e delle lentezze che hanno contraddistinto la realizzazione delle grandi opere, non riusciremo né a spendere le risorse in maniera efficiente ed efficace né tantomeno a dare una nuova speranza al Meridione”.

Per Solinas occorre un coinvolgimento delle Regioni anche nella definizione delle priorità e dei progetti. Sicuramente la fase di ascolto di tutti è una cosa sacrosanta ma nessuno meglio delle Regioni conosce quali possano essere i progetti in grado di dare una spinta complessiva a tutto il territorio. Diversamente rischiamo di frazionare le risorse e di non avere grandi progetti da presentare all’Europa”.

Per il presidente della Regione Sicilia Nello Musumeci si afferma una preoccupazione:“ temo che di questione meridionale si possa anche morire visto che se ne parla da 150 anni e dalle nostre parti il tema viene affrontato con un certo scetticismo. Nel mezzogiorno si corre il rischio di perdere le ultime potenziali risorse per la crescita e l’avanzamento. Noi qui viviamo affrontando la realtà del pane quotidiano, e non c’entra la pandemia, quella ha solo aggravato una realtà già difficile nel 2019″.

IL PNNR

Il PNRR è il documento che il governo italiano deve presentare alla Commissione Europea per dettagliare il modo in cui intende spendere i soldi del Recovery Fund, che per l’Italia ammontano a poco meno di 200 miliardi di euro (ci torniamo). La stesura di questo documento è fondamentale per ottenere i fondi: a livello formale, la loro erogazione dipende dalla valutazione che la Commissione farà del piano, anche se ovviamente c’è un fattore politico da tenere in considerazione: è improbabile che un paese sia escluso dal Next Generation EU, anche se il suo piano fosse disastroso.

Nello specifico, il PNRR è un elenco di progetti (all’interno del documento si chiamano “schede progetto”) in cui il governo spiega nel dettaglio per quali investimenti produttivi o in quali incentivi intende dividere i fondi europei. Per ogni progetto sono descritti tempi di spesa e realizzazione (il “cronoprogramma”), i vari passaggi della realizzazione del progetto (le “milestone”, cioè le pietre miliari), gli obiettivi da raggiungere (i “target”) e quali enti dello stato se ne occuperanno (ministeri, aziende pubbliche, enti locali e così via). 

Con la caduta del governo Conte, il rafforzamento del piano è diventato una delle priorità dichiarate del nuovo presidente del Consiglio Mario Draghi. Il 17 febbraio, durante il suo insediamento davanti al Senato, dedicò una lunga parte del suo discorso al PNRR. Esordì dicendo che il governo precedente aveva «già svolto una grande mole di lavoro», ma poi elencò tutta una serie di punti in cui il piano avrebbe dovuto essere «rafforzato» e migliorato. «Non basterà elencare progetti che si vogliono completare nei prossimi anni. Dovremo dire dove vogliamo arrivare nel 2026 e a cosa puntiamo per il 2030 e il 2050», aveva aggiunto.

Subito dopo il suo insediamento, il nuovo ministro dell’Economia Daniele Franco ha nominato Carmine Di Nuzzo, ispettore capo della Ragioneria generale dello stato, per guidare un gruppo di lavoro che dovrà coordinare tutta l’opera di redazione, sistemazione e riscrittura del PNRR. Di Nuzzo ha a sua disposizione una squadra piuttosto ampia di persone, compreso un gruppo di economisti provenienti dalla Banca d’Italia.

La gestione del piano è stata centralizzata in maniera consistente: il ministero dell’Economia (MEF), con il suo gruppo di lavoro, si è preso il ruolo di coordinamento di tutto il PNRR, e la collaborazione più serrata avviene soltanto con pochi ministri selezionati, tra cui spicca Vittorio Colao, ministro per l’Innovazione tecnologica.

Dal punto di vista dei contenuti, per ora le differenze tra il piano di Conte e quello di Draghi non sembrano molto marcate, anche a causa del poco tempo a disposizione. Da qualche giorno circola una bozza di PNRR che il governo Draghi ha consegnato al Parlamento, di quasi 500 pagine. Come ha però spiegato in audizione il ministro delle Infrastrutture Enrico Giovannini, è ancora la bozza del governo precedente, con pochissimi ritocchi, usata per avere una base comune di lavoro.

Questo significa che, anche a causa del poco tempo a disposizione, difficilmente ci saranno rivoluzioni nella scelta dei progetti. Probabilmente alcuni saranno accorpati e altri depennati, poiché uno degli obiettivi principali del gruppo di lavoro dentro al MEF è razionalizzare le coperture economiche degli investimenti. Il nuovo piano dovrebbe essere quanto meno più dettagliato e preciso: uno dei problemi principali del PNRR del governo precedente era la sua vaghezza su tutta una serie di aspetti (dal cronoprogramma alle coperture) che dovrebbero essere ricalcolati ed esplicitati.

Inoltre il nuovo piano si concentrerà molto sulla governance, cioè sulla gestione dell’esecuzione dei progetti. Franco ha detto che sarà creata una struttura di monitoraggio permanente in ogni ministero, che farà capo a una struttura centrale presso il MEF (forse lo stesso gruppo di lavoro che ora è guidato da Di Nunzio).

I soldi
Dei circa 750 miliardi di euro del Next Generation EU, all’Italia a oggi spettano 191,5 miliardi di euro, ha detto qualche giorno fa il ministro Franco in un’audizione davanti alle Commissioni congiunte di Affari costituzionali e Lavoro di Camera e Senato (queste sono le sovvenzioni del fondo principale, il Recovery and Resilience Facility, a cui vanno aggiunti circa 14 miliardi di fondi che fanno sempre parte del Next Generation EU, come il React-EU, ma hanno destinazioni più specifiche). È un po’ meno rispetto a quanto previsto a dicembre del 2020, quando il governo italiano parlò di 196,5 miliardi. Secondo Franco, i miliardi mancanti dipendono dal fatto che l’attribuzione della risorse avviene sulla base del reddito nazionale lordo: e siccome quello dell’Italia è calato nel 2020 più della media degli altri, è calata anche la quantità di risorse attribuite.

Questi 191,5 miliardi saranno dati all’Italia per poco più di un terzo come sussidi (in pratica, aiuti economici che non devono essere restituiti) e per poco meno di due terzi come prestiti. Non verranno erogati tutti subito, ma in maniera scaglionata, secondo tempi prestabiliti.

Nelle varie bozze di PNRR circolate finora la quantità di progetti è ovviamente molto ampia, e si passa da grandi obiettivi strategici enunciati in maniera molto generale, che dovranno essere specificati nel tempo, ad altri più piccoli e puntuali.

Le parti più ampie e generiche riguardano tra le altre cose due dei temi che la Commissione europea considera cruciali (ci torniamo), cioè la transizione ecologica e la digitalizzazione. Sulla transizione ecologica è difficile trovare in poco tempo progetti precisi, e quindi molte voci di spesa riguardano incentivi e promesse di investimento legate per esempio a forme di energia verde come l’idrogeno, oppure al miglioramento dell’efficienza di edifici pubblici e privati. Lo stesso vale per la digitalizzazione, dove le promesse di investimento sono tendenzialmente piuttosto generiche, per esempio sulle reti 5G, sebbene ci siano diversi progetti specifici come la creazione di un sistema cloud nazionale.

Uno degli obiettivi principali della squadra del MEF è proprio quello di rendere più concreti e puntuali questi obiettivi.

Altri settori di investimento consentono invece di progettare piani più specifici, in parte perché rispondono a esigenze già esistenti. I miglioramenti e le nuove costruzioni nella rete autostradale e ferroviaria, per esempio, fin dalle prime bozze erano descritti in maniera estremamente dettagliata, tratta per tratta (come l’alta velocità Bari-Napoli). Lo stesso vale per il turismo: nelle bozze si trovano elencati molti progetti per la costruzione di piste ciclabili turistiche o progetti di riqualificazione di borghi e centri storici. Ovviamente tutti questi progetti sono per ora ipotetici, e dovranno essere confermati nel piano definitivo.

 


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